VI – Dell’amore inenarrabile

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Max Klinger, Nuovi sogni di felicità, 1887, acquaforte e bulino

“Pallide erano le labbra che vidi,
pallide le labbra che baciai, leggiadra la forma
con cui fluttuai in quella malinconica bufera.”

J. Keats, Un sogno dopo aver letto in Dante l’episodio di Paolo e Francesca, 1819


Alla domanda se si possa amare all’inferno, Dante fa rispondere Paolo e Francesa. Tra le nere bufere della passione, sbattuti dal costante vento gelido, i due amanti, per voce della nobile da Rimini, rincuorano lo smarrito moralista Dante. Poi cadde come morto, eppure nella condizione senza speranza di quel luogo lontano dalla salvezza e colmo dell’assenza di Dio, quella tetra ‘casa dell’eternità’, è stato permesso alle due anime di mostrargli che l’eterno supplizio può essere riscaldato da una fioca, inesauribile, fiammella di amore.

Non hanno bisogno di parole gli amanti per dire i loro affanni, precede la chiusa del sonetto in cui Keats, trasognante, vola bruciando in mezzo di tutto quel girone freddo e tenebroso. La commedia si esaurisce nell’atto di amore inenarrabile. Non si è il Paolo che solamente piange, si è il Paolo causa della perversione dell’altrui sentimento, l’orgoglio così umano della scelta di dannare insieme piuttosto che ascendere alla luce salvifica, è la scelta di rilucere nel riflesso del proprio amore tra l’oscurità di tempo e spazio. Lux in tenebris, umile arbìtrio dei vivi. 

Bufera di color pèrso, colore intriso di bile nera della malinconia, in questo sogno di felicità dal panneggio fluttuante. Si può amare all’inferno quando questo non ha più un luogo, quando le solitudini dell’Io e del cuore trasformano il corpo in un moribondo luciferino microaverno? Trasportati dallo specchio di un amore al limite del narciso, trasportati oltre i confini della veglia – moderno interregno di decaduta divinità, è nell’onirico che si scioglierebbero i nodi del senso, in modo tale che le Francesche di ogni tempo lentamente sfumano in figure sempre più eteree e ideali, soprattutto dopo che viene suicidata l’ultima Francesca, il suo nome era Emma Bovary.

Patrick Oliverio

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Gustave Dorè, Paolo e Francesca, 1861

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