V – Copula

otto_greiner-il_diavolo_mostra_la_donna_al_popoloOtto Greiner, Il diavolo mostra la donna al popolo, 1898, litografia

Raccontano che una volta un uomo fece un patto di amicizia con un satiro. Sopraggiunge l’inverno e si fece freddo. L’uomo portava le mani alla bocca e ci soffiava su, e, al satiro che gli domandava perché facesse così, rispondeva che si scaldava le mani per il freddo. Più tardi, imbandita loro la mensa, poiché il cibo era molto caldo, l’uomo lo prendeva un pezzetto per volta, lo avvicinava alla bocca e soffiava. Il satiro domandava allora, di nuovo, perché facesse così; e l’uomo rispondeva che stava raffreddando il cibo perché era troppo caldo. E il satiro a lui: « Caro mio, se tu sei uno che dalla stessa bocca manda fuori caldo e freddo, alla tua amicizia io rinuncio! » .

Esopo, L’uomo e il satiro (trad. Elena Ceva Valla)

Sono state molte le epoche che hanno voluto vedere nella figura del satiro nient’altro che una sorta di uomo primitivo. La favola di Esopo sembra smentire questo assunto. Come ci ricorda Aristotele chi non ha bisogno degli uomini è una bestia o un dio (o un filosofo, avrebbe poi detto Nietzsche) ma, appunto, proprio la rottura del vincolo filiale da parte del satiro verso l’uomo sta a dimostrare che è proprio il satiro a poter fare a meno degli uomini: dunque è il satiro una bestia o un dio.

Tutto sembra giocarsi su quella “o” disgiuntiva laddove, per il satiro, sembrerebbe più corretto porre una “e” copulativa. In quanto esseri divini, seppur non immortali, i satiri debbono infatti essere situati in quel regno intermedio dell’anima propriamente apostrofato come demonico.

Nel satiro tutte le opposizioni sono conciliate, diversamente da quanto accade invece nell’umano Aristotele: capace unicamente di ragionare in termini di caldo-freddo, di sì-no. Così, l’uomo della favola. Il satiro semplicemente non può tollerare questa verità mutevole, che ora è questo ora è quest’altro. Eppure proprio il satiro sembra aver fatto dell’ambivalenza il proprio essere, com’è dunque possibile che rifiuti la lingua sibillina dell’uomo? Nient’altro che per quelle sue orecchie ferine pronte ad ammettere, come per le muse esiodee (le nuove ninfe, come ci ricorda W. F. Otto), solamente verità o menzogne simili al vero. Esse parlano e lo fanno per bocca dell’uomo, ma non attraverso l’uomo che prova freddo e fame.

Come pensava appunto Anassimene l’antico, non dobbiamo lasciare nella sostanza né il freddo né il caldo, ma bisogna considerarli come affezioni comuni della materia, che sopravvengono dopo i mutamenti. Anassimene infatti afferma che la compressione e condensazione della materia è fredda, mentre ciò che ha un tessuto rilassato è « allentato » (usando letteralmente proprio questa parola) è caldo. Perciò, secondo lui, non senza ragione si dice che l’uomo manda fuori dalla bocca sia il caldo sia il freddo.

Plutarco, Sul principio del freddo (trad. Giorgio Colli)

Mattia Macchelli

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