III – Melanconia

Per Sophie, debole nei giovani polmoni, Novalis abbracciava la notte, attraverso vesti d’aria ne sfiorava le forme, ne piangeva la morte.

All’orizzonte passano stelle come pulviscolo in controluce: per gli insonni cronografi issati sul quadrante del cielo. Tra le nubi si apre l’idea dell’amata, giovinotta anche per il pensieroso Klinger; sullo stelo sboccierebbe un amore fecondo, ma come il fiore della purezza verginale s’incontra con la farfalla di carnale corruzione, solo la rinascita in sogno o in vento è speranza nei saturnini, nei flegmatici, nei sensibili al gelido tocco della Morte, non accettanti la terrena condizione di mortali bruchi. “Non v’accorgete voi che noi siamo vermi / nati a formar l’angelica farfalla”, odono Dante e Virgilio nella prima cornice del Purgatorio.

Patrick Oliverio

Novalis, Inno III degli Inni alla notte, Athenaeum, 1800 (trad. Giovanna Benporad)

Un giorno che versavo amare lacrime, che in dolore disciolta svaniva la mia speranza, ed io stavo solitario presso l’arido tumulo che in un breve oscuro spazio chiudeva la forma della mia vita – solitario come nessuno era mai stato, sospinto da indicibile angoscia – privo di forze, in me soltanto un senso di miseria, come mi guardavo intorno cercando aiuto, non potevo avanzare né indietreggiare, e mi aggrappavo alla fuggente vita, spenta, con infinita nostalgia: – allora venne dalle azzurre lontananze – dalle altezze della mia antica beatitudine un brivido crepuscolare – si spezzò d’un tratto il vincolo della nascita – la catena della luce. Svanì la magnificenza terrestre e il mio lutto con lei – confluì in un mondo nuovo e impenetrabile la malinconia – e tu, estasi della notte, sopore del cielo scendesti su di me – la contrada lentamente si sollevò; e sulla contrada aleggiò il mio spirito nuovo, liberato. Il tumulo divenne una nube di polvere – attraverso la nube io vidi le fattezze trasfigurate dell’amata. Nei suoi occhi posava l’eternità – afferrai le sue mani, e le lacrime divennero un vincolo scintillante, inscindibile. Millenni dileguarono in lontananza, come uragani. Al suo collo piansi lacrime d’estasi per la nuova vita. – Fu questo il primo, unico sogno – e da allora sento un’eterna, immutabile fede nel cielo della notte e nella sua luce, l’amata.

klin

Max Klinger, Notte, 1888 (acquaforte e acquatinta)

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